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Monga, Giulio. "LA REGOLAMENTAZIONE DELLE PIATTAFORME DIGITALI NELL'UNIONE EUROPEA: UNA PROSPETTIVA TRANSAZIONALE", Università Cattolica del Sacro Cuore, XXXV ciclo, a.a. 2021/22, Milano, [http://hdl.handle.net/10280/148283].

Titolo: LA REGOLAMENTAZIONE DELLE PIATTAFORME DIGITALI NELL'UNIONE EUROPEA: UNA PROSPETTIVA TRANSAZIONALE
Autore/i: MONGA, GIULIO
Tutor: FRANZINA, PIETRO
Coordinatore: FORTI, GABRIO
Lingua: ITA
Abstract in italiano della tesi: 1 Le piattaforme digitali e il diritto Questo capitolo delinea l’oggetto della tesi. Si ricorda, per un verso, che da un punto di vista economico-sociale, le piattaforme sono infrastrutture digitali che consentono a due o più gruppi di persone di interagire, svolgendo un ruolo di creatori di «mercati a più parti», di portata non di rado planetaria. Si osserva, per altro verso, che le piattaforme sono ambienti giuridici contraddistinti da una duplice dimensione. Una «dimensione verticale», costituita dai rapporti tra utenti e piattaforma, ed una «dimensione orizzontale», rappresentata dai rapporti tra utenti. L’architettura giuridica su cui si basano le piattaforme sono innanzitutto le regole – contrattuali e tecniche – determinate dai gestori delle piattaforme, che disciplinano unilateralmente i rapporti relativi alla «dimensione verticale» e sono in grado di influenzare quelli afferenti alla «dimensione orizzontale». Nel tentativo di qualificare e regolare i rapporti in questione, la dottrina e la giurisprudenza non sono giunte a soluzioni univoche. La tesi accolta nel presente lavoro è quella per cui le piattaforme rivestono un caratteristico connotato «istituzionale», dato dal potere dei relativi gestori di conformare con proprie regole la vita di relazione che si svolge all’interno delle piattaforme stesse, spesso addirittura garantendo l’osservanza di tali regole senza che si renda necessario ricorrere ad organi statali. 2 Le piattaforme digitali nel diritto materiale dell’Unione europea L’Unione europea si occupa ormai da tempo della disciplina delle piattaforme. Lo fa, innanzitutto, dettando regole di indole materiale. Il capitolo tratta, in primo luogo, della direttiva 2000/31/CE («e-Commerce Directive») e dell’evoluzione che, sin dalla sua adozione, ha interessato il regime di responsabilità degli internet service provider per i contenuti e le informazioni illecite dei propri utenti. In particolare, con l’apporto della Corte di Giustizia dell’Unione europea, si è passati da un regime di pressoché totale irresponsabilità ad un regime in cui vengono individuati peculiari figure di «hosting provider» attivi che, al sussistere di alcuni «indici di interferenza», rispondono delle informazioni e dei contenuti diffusi dagli utenti, trattandosi di figure sostanzialmente diverse da quelle – passive – a cui il legislatore aveva principalmente pensato in sede di elaborazione della direttiva. L’evoluzione descritta segnala la propensione dell’ordinamento dell’Unione a responsabilizzare le piattaforme, facendo leva sulla loro capacità di autoregolamentazione; tutto ciò allo scopo di assicurare la coerenza dell’operato delle piattaforme con il diritto dell’Unione. Tale tendenza ha trovato riscontro in strumenti più recenti come il Regolamento UE 2019/1150 (“Regolamento P2B”), la Direttiva UE 2019/790 (“Direttiva Copyright”) o nuovo Digital Services Act europeo, entrato in vigore lo scorso 16 novembre 2022 ma che non sarà pienamente applicabile sino al 17 febbraio 2024. Il capitolo si concluderà con l’analisi della giurisprudenza della Corte di Giustizia che, nel tentare di fornire una soluzione ai problemi qualificatori relativi ad alcune piattaforme digitali – segnatamente, Airbnb e Uber – ne ha di volta in volta indicato la natura di fornitori di servizi della società dell’informazione ovvero di fornitori dei servizi «sottostanti» offerti agli utenti della piattaforma stessa, raggiungendo sul punto conclusioni apparentemente discordanti. La problematica qualificatoria è rilevante ai nostri fini in quanto dalla soluzione della stessa discende l’applicabilità, o meno, ai provider di tali piattaforme di diversi strumenti legislativi al centro della nostra indagine, quali la Direttiva e-Commerce, il Regolamento P2B o lo stesso Digital Services Act. 3 Le piattaforme digitali e il diritto internazionale privato dell’Unione europea In questo capitolo viene proposta una analisi delle norme di diritto internazionale privato dell’Unione europea che hanno per oggetto rapporti giuridici e situazioni che nascono nell’ambito delle piattaforme digitali o risentono ad altro titolo delle dinamiche delle piattaforme. L’indagine si riferisce sia ai rapporti afferenti alla dimensione «orizzontale» che a quelli relativi alla dimensione «verticale» della vita di relazione interna alle piattaforme. Saranno, in particolare, prese in considerazione le pertinenti norme del Regolamento Bruxelles Ibis sulla competenza giurisdizionale e il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, del Regolamento Roma I sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali e del Regolamento Roma II sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali, avendo a riguardo anche ai regimi da essi previsti a tutela delle parti deboli dei rapporti contrattuali, come consumatori e lavoratori. L’esame di tali strumenti mette in luce le difficoltà sottese all’applicazione di tali strumenti nel contesto delle piattaforme. Si tratta di difficoltà imputabili, da un lato, ai problemi qualificatori discussi nel Capitolo 2, e, dall’altro, alle logiche «stato-centriche» e legate al concetto di territorialità su cui si fondano le norme di diritto internazionale privato dell’Unione, che mal si attagliano ad ambienti virtuali, come le piattaforme, in cui il potere regolatorio dei gestori esercita una influenza significativa. Dal tentativo di individuare eventuali nuovi paradigmi emerge la constatazione per cui la regolamentazione di matrice diversa da quella statale – ed in particolare quella privata – abbia tuttora uno spazio assai limitato nel diritto internazionale privato dell’Unione. Si rileva, al contrario, una duplice tendenza. Una giurisprudenziale, rappresentata dal tentativo di adattare le tradizionali norme di diritto positivo al mondo virtuale, individuando ex novo o mutuando criteri di collegamento utilizzati per altre situazioni. Una legislativa, costituita del proliferare di norme di chiara matrice «unilateralista» (es. GDPR, Regolamento P2B), le quali determinano autonomamente il proprio ambito di applicazione territoriale, oltre che materiale, prescindendo dall’applicazione delle norme di conflitto. Queste tendenze segnalano la volontà dei regolatori pubblici di mantenere il controllo sulla rete nonostante il crescente potere regolatorio dei soggetti privati – tra cui i gestori delle piattaforme – attivi sulla stessa. Di più, l’utilizzo sempre più frequente di norme unilateraliste – rintracciabili sia nell’Unione che in altri contesti geografici e giuridici – pare rispondere al tentativo dei regolatori pubblici di estendere la propria sovranità sulla rete, proponendosi di disciplinare situazioni con un legame prima facie minimo con i rispettivi ordinamenti. Il rischio principale di questa impostazione è rappresentato dal «regulatory overreaching», fenomeno proprio di norme che, pur configurando una applicazione (extra)territoriale assai estesa, hanno in realtà poche possibilità di applicazione reale alle fattispecie che si propongono di disciplinare. Nell’ambito delle piattaforme digitali, peraltro, il fenomeno è acuito dalla constatazione per cui gli Stati abbiano un bisogno strutturale della cooperazione delle piattaforme stesse per ottenere l’effettiva applicazione delle proprie norme online, Circostanza che, come vedremo, è già emersa sia nella giurisprudenza dell’Unione che in quella nordamericana. 4 Private regulation e diritto di fonte pubblica nella governance delle piattaforme digitali In questo capitolo viene esaminato più da vicino il rapporto tra regolamentazione privata e pubblica nell’ambito delle piattaforme digitali. Dopo aver introdotto i concetti di private regulation e lex informatica si constata come la dottrina tradizionale sia perlopiù poco propensa a conferire rilevanza a tali categorie nell’ambito del diritto internazionale privato, rimanendo viceversa legata ad un’impostazione giuspositivista. Nonostante ciò, da un’analisi delle recenti tendenze si ricava come la dimensione istituzionale ed il potere regolatorio delle piattaforme digitali siano presi in considerazione dal legislatore comunitario nel definire le strategie normative in materia, senza peraltro che ciò si traduca in una assimilazione di quest’ultimo alla potestà degli Stati. In particolare, la Commissione europea ha individuato tre differenti approcci: la regolamentazione tradizionale attraverso il diritto di matrice statale («top-down legislation»), la valorizzazione dell’autoregolamentazione delle piattaforme e la promozione di strumenti e meccanismi di coregolamentazione. Gli input della Commissione europea si sono tradotti in recenti strumenti normativi in cui, oltre alla già segnalata svolta unilateralista si scorge, dal punto di vista sostanziale, il tentativo del legislatore dell’Unione di controllare la dimensione istituzionale delle piattaforme attraverso la valorizzazione dei principi di «accountability» e trasparenza, anche grazie all’utilizzo e alla promozione di codici di condotta di matrice privata. È il caso, ancora una volta, del GDPR e del Regolamento P2B, in cui la funzione regolatoria e para-giurisdizionale delle piattaforme assume un’importanza decisiva. Centrale è inoltre il ruolo di strumenti come le sanzioni pecuniarie, che svolgono anche una funzione denominata in dottrina come «market destroying measure». 5 Focus: l’autoregolamentazione delle piattaforme nel contrasto alla diffusione di contenuti illeciti sui social network Il capitolo contiene un approfondimento dedicato ai rapporti tra regolamentazione pubblica e privata ai fini del contrasto alla diffusione di contenuti illeciti sulle piattaforme di social network. L’attenzione dedicata al tema è giustificata dalla presa d’atto del ruolo decisivo dei gestori delle piattaforme a riguardo, sia dal punto di vista tecnico che da quello regolatorio. I gestori delle piattaforme, infatti, sono per molti aspetti i soggetti nella posizione migliore per scovare e rimuovere i contenuti illegali. Tale attività, oltre ad essere necessaria per adeguarsi alle prescrizioni del diritto di fonte pubblica, costituisce spesso anche applicazione delle regole e policy di condotta di fonte privata determinate dagli stessi gestori le quali, peraltro, potrebbero in alcuni casi contrastare con le stesse norme stabilite dai regolatori pubblici. Per evidenziare la centralità del ruolo delle piattaforme, sarà svolta un’analisi del Facebook Oversight Board, l’organo indipendente costituito da Facebook allo scopo di gestire i reclami e le segnalazioni degli utenti del popolare social network relative ai contenuti in violazione delle regole dello stesso. L’Oversight Board costituisce, ad oggi, l’esempio più avanzato di autoregolamentazione di una piattaforma digitale. A sostegno di questa affermazione, il fatto che la composizione e il funzionamento dello stesso siano disciplinati da un apposito Atto Costitutivo («Oversight Board Charter») dal carattere «simil-costituzionale», che conferiscono al Board il potere di interpretare le norme della community di Facebook e di emettere decisioni vincolanti per quest’ultimo. I ragionamenti svolti in questo capitolo saranno atti a dimostrare come la rilevanza del ruolo delle piattaforme renda inevitabile, per i regolatori pubblici, stabilire una forma di collaborazione con i gestori delle stesse allo scopo di garantire l’applicazione delle proprie regole in materia di «contenuti illeciti» all’interno degli ambienti virtuali. Questa collaborazione – che, all’interno dell’Unione, ha assunto le sembianze di vari strumenti di coregolamentazione come i codici di condotta – non significa, peraltro, una rinuncia dei regolatori pubblici a disciplinare quanto avviene nelle piattaforme a favore dei regolatori privati. Ai primi, infatti, spetta comunque la definizione dei principi fondamentali attraverso cui orientare e limitare il potere regolatorio dei soggetti privati allo scopo di raggiungere i propri obiettivi. A questo proposito, peraltro, si evidenzierà come anche i gestori delle piattaforme sembrino riconoscere la prevalenza dei regolatori pubblici. Significativo, in questo senso, la circostanza per cui l’Atto Costitutivo del Facebook Oversight Board riconosca a più riprese il limite del diritto di fonte pubblica sia per il Board che per il social network. Come vedremo, infatti, essa stabilisce il divieto di eseguire decisioni del Board o di interpretare l’Atto Costitutivo in modo da portare a violazioni di legge. Importante è, inoltre, la specifica per cui il Board non abbia la pretesa di «enforce local law», con ciò escludendo qualsiasi velleità di assimilazione ad un organo giurisdizionale di tipo statale. 6 Ultimi sviluppi e prospettive future: il Digital Services Act europeo. Il sesto ed ultimo capitolo è dedicato al Digital Services Act, il già citato nuovo regolamento sui servizi digitali entrato in vigore nell’autunno 2022 e che sarà pienamente applicabile dal 17 febbraio 2024. L’analisi di questo strumento è rilevante in quanto lo stesso, piuttosto che costituire di per sé una rivoluzione, sviluppa ulteriormente le tendenze relative alle strategie regolatorie dell’Unione europea in materia di piattaforme digitali esaminate nel corso del presente lavoro, contribuendo a rafforzare le evidenze da noi raccolte. Ciò sia dal punto di vista del diritto materiale che di quello internazionalprivatista, oltre che per quanto riguarda il rapporto tra regolamentazione di fonte pubblica e di fonte privata. Per quanto riguarda gli aspetti internazionalprivatisti, anche in questo regolamento viene fatto ricorso al metodo unilateralista allo scopo di determinarne l’ambito di applicazione, sia materiale che territoriale, prescindendo dalle norme di conflitto. Anche in questo caso, peraltro, il ricorso a questo metodo appare suscettibile di estendere in maniera piuttosto significativa la gittata del nuovo strumento, dando luogo a rischi di «regulatory overreaching» comunque mitigati dallo stesso regolamento. Dal punto di vista del diritto materiale, il Digital Services Act, in primo luogo, interviene sulla disciplina relativa alla responsabilità degli internet service provider analizzata nel Capitolo 2. In particolare, il regolamento, pur mantenendo fermi i principi fondamentali della Direttiva e-Commerce, prosegue nel percorso di responsabilizzazione dei fornitori positivizzando le indicazioni della Corte di Giustizia sulla figura dell’hosting provider attivo e restringendo l’area di esenzione dalla responsabilità dei fornitori per i contenuti forniti dai propri utenti. I medesimi obiettivi di responsabilizzazione sono alla base dell’articolato regime sui doveri di diligenza degli stessi previsto dal Digital Services Act. Questo regime, come vedremo, si caratterizza per l’adozione di un approccio «a strati», in quanto pone obblighi via via più stringenti a seconda delle diverse categorie di fornitori di servizi considerate, tra cui compaiono anche i fornitori di servizi di piattaforme online, che trovano quindi una prima definizione all’interno dell’ordinamento giuridico dell’Unione. Le norme sui doveri di diligenza rispecchiano in gran parte le tendenze emerse nel corso della nostra indagine, in quanto si fondano sui principi della trasparenza e dell’accountability dei provider, in capo ai quali sono posti doveri sempre più penetranti per garantire la sicurezza del mondo digitale e contrastare la diffusione di contenuti illegali. Centrale è, inoltre, la valorizzazione del potere regolatorio degli stessi fornitori e della dimensione istituzionale degli ambienti da questi gestiti, anche attraverso la promozione di strumenti di autoregolamentazione e di coregolamentazione, come i codici di condotta. Significative, a questo proposito, le disposizioni relative agli obblighi di conformazione dei «termini e condizioni» dei fornitori e quelle che, riconoscendone il potere regolatorio, impongono agli hosting provider di prevedere dei meccanismi di segnalazione e rimozione dei contenuti illegali da parte degli utenti («notice and action»), con il dovere di motivare l’eventuale rimozione dei contenuti in questione. Per i fornitori delle piattaforme, a questi obblighi si affianca quello di stabilire dei sistemi effettivi di gestione dei reclami, attraverso cui gli utenti possano impugnare le decisioni assunte a seguito della condivisione di contenuti illegali o incompatibili con i «termini e condizioni». A queste norme segue un composito regime dedicato all’attuazione del Digital Services Act da parte delle autorità nazionali competenti («digital enforcement»), in cui rivestono un’importanza centrale le sanzioni amministrative pecuniarie, analogamente a quanto accade nell’ambito di altri strumenti esaminati nel corso del presente lavoro, come il GDPR. 7 Conclusioni Dalle indagini svolte emerge come la disciplina delle piattaforme digitali non possa prescindere da una collaborazione tra regolatori pubblici e privati. Questo vale innanzi tutto per il diritto materiale, ove si rileva la tendenza del legislatore a valorizzare il potere regolatorio e para-giurisdizionale delle piattaforme, cercando di orientarlo al rispetto delle proprie regole grazie a meccanismi di «accountability» e trasparenza. Da un punto di vista internazionalprivatistico, invece, le difficoltà segnalate nelle pagine precedenti ed il proliferare di norme di matrice unilateralista dimostrano la parziale inadeguatezza delle regole esistenti. Esse dimostrano altresì l’emergere di nuovi paradigmi che, pur rimanendo nel solco della tradizionale impostazione giuspositivista, indicano un deciso cambio di rotta. Una svolta che rischia, in certi casi, di dar vita al «regulatory overreaching». Per evitare questo fenomeno, lo strumento principe cui il legislatore fa ricorso restano le sanzioni pecuniarie e la conseguente applicazione attraverso l’uso di poteri coercitivi, su cui gli Stati continuano ad esercitare il monopolio. Le evidenze emerse dall’indagine indicano, pertanto, che l’Unione «vede» il fenomeno della private regulation nell’ambito delle piattaforme digitali e ingaggia con esso un dialogo, riconoscendo in tal modo l’effettività di quel fenomeno e le sue potenzialità «positive». Questo dialogo, tuttavia, non è concepito dal legislatore come un dialogo fra pari. Al contrario, l’Unione non rinuncia a regolare (o quanto meno a «orientare») la vita di relazione che si svolge sulle piattaforme, senza effettuare deleghe in bianco a favore dei gestori privati ma cercando, piuttosto, di orientarne l’attività regolatoria, valorizzando la dimensione istituzionale degli ambienti da essi gestiti.
Abstract in inglese: 1 Digital platforms and law This chapter outlines the object of the thesis. It is recalled, on the one hand, that from a socio-economic point of view, platforms are digital infrastructures that allow two or more groups of people to interact, playing the role of creators of «multi-sided markets», not infrequently with a global scope. It is observed, on the other hand, that platforms are legal environments characterized by a dual dimension. A «vertical dimension», consisting of the relations between users and platform, and a «horizontal dimension», represented by the relationships between users. The legal architecture on which platforms are based are first and foremost the rules – contractual and technical – determined by the platform operators, which unilaterally regulate the relationships pertaining to the «vertical dimension» and are able to influence those pertaining to the «horizontal dimension». In attempting to qualify and regulate the relationships in question, doctrine and case law have not arrived at unambiguous solutions. The thesis proposed in this work is that platforms have a characteristic «institutional» connotation, given by the power of their operators to conform with their own rules the relationships that take place within the platforms themselves, often even guaranteeing the observance of these rules without the need for recourse to State bodies. 2 Digital platforms in the European Union’s substantive law The European Union has been dealing with the regulation of platforms for some time now. It does so, first of all, by establishing rules of a substantial nature. The chapter deals, first of all, with Directive 2000/31/EC («e-Commerce Directive») and the evolution that, since its adoption, has interested the liability regime of internet service providers for the illegal content and information of their users. In particular, with the contribution of the Court of Justice of the European Union, there has been a shift from a regime of almost total irresponsibility to a regime in which specific figures of «active hosting providers» are identified, that, in the presence of certain «interference indexes», are liable for the information and contents disseminated by users. These figures are substantially different from the – passive – ones mainly considered by the legislator when drafting the directive. The described evolution signals the tendency of the EU legal system to make platforms accountable by leveraging their self-regulatory capacity; all this with the aim of ensuring the consistency of platforms’ actions with EU law. This trend has been reflected in more recent instruments such as Regulation EU 2019/1150 (“P2B Regulation”), Directive EU 2019/790 (“Copyright Directive”) or the new Digital Services Act, which entered into force last 16 November 2022 but will not be fully applicable until 17 February 2024. The chapter will end with an analysis of the case law of the Court of Justice which, in attempting to provide a solution to the qualifying problems relating to certain digital platforms – namely, Airbnb and Uber – has from time to time indicated their nature as internet service providers or as providers of the «underlying» services offered to the users of the platform itself, reaching on this point apparently discordant conclusions. The issue of qualification is relevant for our purposes since its solution determines the applicability, or not, to the providers of such platforms of various legislative instruments at the center of our investigation, such as the e-Commerce Directive, the P2B Regulation or the Digital Services Act. 3 Digital platforms and private international law in the European Union This chapter proposes an analysis of the rules of private international law of the European Union concerning legal relationships and situations that arise in the context of digital platforms or are otherwise affected by platform dynamics. The investigation refers to both the relationships pertaining to the «horizontal» and the «vertical» dimensions of intra-platform relationships. In particular, the relevant rules of the Brussels Ibis Regulation on jurisdiction and the recognition and enforcement of judgments in civil and commercial matters, the Rome I Regulation on the law applicable to contractual obligations, and the Rome II Regulation on the law applicable to non-contractual obligations will be taken into consideration, with regard also to the regimes they provide for the protection of weak parties within contractual relationships, such as consumers and workers. An examination of these instruments highlights the difficulties underlying their application in the context of platforms. These difficulties are attributable, on the one hand, to the qualifying problems discussed in Chapter 2, and, on the other hand, to the «state-centric» and territorial logic on which the EU rules of private international law are based, which are ill-suited to virtual environments, such as platforms, where the regulatory power of operators exerts significant influence. The attempt to identify possible new paradigms reveals that non-state – and in particular private – regulation still has a very limited place in the EU private international law. On the contrary, a twofold trend can be observed. A jurisprudential one, consisting of the attempt to adapt the traditional rules of positive law to the virtual world, identifying ex novo or borrowing connecting factors used for other situations. A legislative one, consisting of the proliferation of rules of a clearly «unilateralist» matrix (e.g., GDPR, P2B Regulation), which autonomously determine their own territorial, as well as material, scope of application, regardless of the application of conflict-of-laws rules. The mentioned trends highlight the wish of public regulators to maintain control over the network despite the growing regulatory power of private entities – including platform operators – active on it. Moreover, the ever more frequent use of unilateralist rules – that can be found both in the EU and in other geographical and legal contexts – seems to respond to the public regulators’ attempt to extend their sovereignty over the network, proposing to regulate situations with a prima facie minimal link with their relevant legal systems. The main risk of this approach is represented by the «regulatory overreaching», i.e., a phenomenon typical of rules that, although configuring a very extensive (extra)territorial application, actually have little chance of real application to the cases they aim to regulate. In the context of digital platforms, moreover, the phenomenon is exacerbated by the fact that States have a structural need for the cooperation of the platforms themselves in order to obtain the effective application of their rules online, a circumstance which, as illustrated, has already emerged in both EU and North American case law. 4 Private regulation and public source law in the governance of digital platforms This chapter takes a closer look at the relationship between private and public-source regulation in the context of digital platforms. Namely, after introducing the concepts of private regulation and lex informatica, it is noted that the traditional doctrine is mostly disinclined to give relevance to these categories in the context of private international law, remaining instead tied to a legal positivist approach. Notwithstanding this, an analysis of recent trends shows how the institutional dimension and the regulatory power of digital platforms are taken into account by the EU legislator when defining regulatory strategies on the subject, without, however, this translating into an assimilation of the latter to the power of States. In particular, the European Commission has identified three different approaches: traditional regulation through State-based law («top-down legislation»), the enhancement of platform self-regulation and the promotion of tools and mechanisms of coregulation. The European Commission’s inputs have been translated into recent regulatory instruments in which, in addition to the already mentioned unilateralist turn, it can be found, from a substantive point of view, the EU legislator’s attempt to control the institutional dimension of platforms through the enhancement of the principles of «accountability» and transparency, also thanks to the use and promotion of codes of conduct from private sources. This is the case, once again, of the GDPR and the P2B Regulation, in which the regulatory and para-jurisdictional function of platforms assumes decisive importance. Central is also the role of instruments such as financial penalties, which also perform a function referred to in doctrine as «market destroying measures». 5 Focus: self-regulation of platforms in the fight against the dissemination of illegal content on social networks The chapter contains an in-depth examination of the relationship between public-source and private regulation for the purposes of combating the dissemination of illegal content on social network platforms. The attention devoted to this topic is justified by the acknowledgement of the decisive role of platform operators in this regard, both from a technical and regulatory perspective. Indeed, platform operators are in many respects the subjects in the best position to detect and remove illegal content. This activity, in addition to being necessary to comply with the requirements of public-source law, often also constitutes the application of private-source rules and policies of conduct established by the operators themselves, which, moreover, may in some cases conflict with the mentioned rules established by public regulators. To highlight the central role of platforms, an analysis of the Facebook Oversight Board, i.e., the independent body set up by Facebook in order to handle complaints and reports from users of the popular social network concerning content that violates its rules, will be carried out. The Oversight Board is, as of today, the most advanced example of self-regulation of a digital platform. Supporting this claim is the fact that its composition and functioning are governed by a special «Constitutional-like» charter («Oversight Board Charter»), which gives the Board the power to interpret the rules of the Facebook community and to issue decisions that are binding for Facebook. The reasoning developed in this chapter will demonstrate how the importance of the role of platforms makes it inevitable for public regulators to establish a form of collaboration with the providers of these platforms, in order to ensure the application of their own rules on «illegal content» within the virtual environments. This collaboration – which, within the EU, has taken the shape of various co-regulatory instruments such as codes of conduct – does not mean, however, that public regulators renounce regulating what happens on platforms in favor of private regulators. The former, in fact, are still responsible for defining the fundamental principles through which they can guide and limit the regulatory power of private subjects in order to achieve their objectives. In this regard, moreover, it will be pointed out that even the platform operators seem to recognise the prevalence of public regulators. Significant in this sense is the circumstance whereby the Facebook Oversight Board Charter repeatedly recognises the limit of public source law for both the Board and the social network. As deepened in this chapter, in fact, it states that it is forbidden to execute the decisions of the Board or to interpret the Charter in such a way as to lead to violations of the law. Also important is the specification that the Board does not claim to «enforce local law», thus excluding any ambition to assimilate it to a State-type court. 6 Latest developments and future perspectives: the EU Digital Services Act. The sixth and last chapter is devoted to the Digital Services Act, the aforementioned new regulation on digital services that came into force in autumn 2022 and will be fully applicable from 17 February 2024. The analysis of this instrument is relevant for our purpose since it, rather than constituting a revolution by itself, further develops the trends relating to the EU’s regulatory strategies on digital platforms examined in the course of the present work, helping to strengthen the evidence we have gathered. This is both from the perspective of substantive and international law, as well as with regard to the relationship between regulation from public and private sources. As for the private international law aspects, the unilateralist method is also used in this regulation in order to determine its scope of application, both material and territorial, regardless of the conflict rules. Also in this case, however, recourse to this method appears likely to extend the reach of the new instrument rather significantly, giving rise to risks of «regulatory overreaching» that are in any case mitigated by the regulation itself. From the point of view of substantive law, the Digital Services Act, in the first place, intervenes on the regulation on the liability of internet service providers analysed in Chapter 2. In particular, the regulation, while maintaining the fundamental principles of the e-Commerce Directive, continues along the path of making providers accountable by positively recognising the indications of the Court of Justice on the figure of the active hosting provider and restricting the area of exemption from liability of providers for content disseminated by their users. The same objectives of accountability underlie the articulated regime on the due diligence of service providers set forth by the Digital Services Act. This regime, as we shall see, is characterised by the adoption of a «layered» approach, in that it lays down obligations that are gradually more stringent according to the different categories of service providers considered, among which also appear the providers of «online platform», notion to which a formal definition within the Union’s legal system has therefore been given. The rules on due diligence largely reflect the trends that emerged in the course of our investigation, since they are based on the principles of transparency and accountability of providers, on which shoulders ever more penetrating duties are placed to guarantee the security of the digital world and to counter the dissemination of illegal content. Also central is the enhancement of the regulatory power of the providers themselves and of the institutional dimension of the environments they manage, also through the promotion of self-regulation and co-regulation tools, such as codes of conduct. Significant, in this regard, are the provisions relating to the obligations to comply with the «terms and conditions» of the providers and those which, recognising their regulatory power, require hosting providers to establish mechanisms for the reporting and removal of illegal content by users («notice and action»), with the duty to justify any removal of the content in question. For platform providers, these obligations are complemented by the obligation to establish effective complaint handling systems, through which users can challenge decisions taken as a result of sharing illegal content or content incompatible with the «terms and conditions». These rules are followed by a composite regime dedicated to the implementation of the Digital Services Act by the competent national authorities («digital enforcement»), in which administrative fines are of central importance, similarly to other instruments examined in the course of this work, such as the GDPR. 7 Conclusions Our investigation shows that the regulation of digital platforms cannot be separated from a collaboration between public and private regulators. This applies first and foremost to substantive law, where there is a tendency for legislators to enhance the regulatory and para-judicial power of platforms, trying to steer them towards compliance with their own rules through «accountability» and transparency mechanisms. From a private international law point of view, on the other hand, the difficulties noted in the preceding pages and the proliferation of unilateralist rules demonstrate the partial inadequacy of the existing rules. They also show the emergence of new paradigms that, while remaining in the groove of the traditional positivist approach, indicate a definite change of course. A shift that risks, in certain cases, giving rise to «regulatory overreaching». To avoid this phenomenon, the main instrument the legislator resorts to remains fines and the consequent enforcement through the use of coercive powers, over which States continue to exercise a monopoly. The evidence from the investigation therefore indicates that the Union «sees» the phenomenon of private regulation in the context of digital platforms and engages in a dialogue with it, thereby recognising the effectiveness of that phenomenon and its «positive» potential. This dialogue, however, is not conceived by the legislator as a dialogue between equals. On the contrary, the Union does not give up regulating (or at least «orienting») the relational life that takes place within platforms, without making blank delegations in favour of private service providers but rather seeking to orient their regulatory activity, enhancing the institutional dimension of the environments they manage.
Data di discussione: 22-giu-2023
URI: http://hdl.handle.net/10280/148283
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FACOLTA' DI GIURISPRUDENZA

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